(Rivista Internazionale - Dicembre 1998: Il voto di obbedienza - 2/3)
Mentre nell’Antico Testamento si riconosceva nel timor di Dio, unico Signore (Dt 5, 29), il dovere fondamentale per l’efficacia dell’Alleanza tra Jahvè e il suo popolo, nel Nuovo Testamento Gesù Cristo sottolinea, con riferimento ad una comprensione solo esteriore della legge, la lealtà delle intenzioni nell’osservanza della medesima. Gesù vede se stesso e la sua vita nell’obbedienza totale al Padre amorevole.
San Paolo riassume tutto questo nell’affermazione: «Cristo è divenuto per noi obbediente fino alla morte».
Sant’Agostino definisce l’obbedienza come una virtù teologale e morale.
San Tommaso d’Aquino la differenzia come obbedienza nei riguardi di Dio e obbedienza determinata dai rispettivi rapporti umani, dove in quest’ultimo caso la coscienza ha la precedenza sugli ordini del superiore.
Molte analisi teologiche e filosofiche sull’obbedienza portano a dare risposte alle domande riguardo l’obbedienza nei rapporti umani (ad esempio: fino a che punto si deve spingere l’obbedienza al sovrano, al tiranno, al condottiero). Esiste un dovere di obbedienza nei riguardi dei genitori, quando questi dispongono il matrimonio, addirittura il matrimonio con una determinata persona, e l’ingresso nella vita religiosa dei propri figli? Dove collocare l’obbedienza dovuta al partito o alla cosiddetta «volontà popolare»? Di seguito, l’esposizione di alcuni tentativi di risposta.
Secondo il Diritto canonico, esiste un’obbedienza canonica ed un’obbedienza religiosa. In quanto membri di un ordine religioso, però, l’argomento centrale della presente analisi è costituito da uno dei consigli evangelici che fa parte della professione religiosa, mediante il quale si sottolinea con vigore e si documenta anche all’esterno, attraverso il voto pubblico del religioso, come egli sia tenuto all’obbedienza totale ai suoi superiori (religiosi) per quanto riguarda la Regola e la Costituzione. In questo caso, «superiore» è il Papa e la Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica (e a seguire, il Gran Maestro e i superiori dopo di lui: il Gran Commendatore, il Gran Priore, il Reggente dei sottopriorati).
Se nell’obbedienza si vede il perfezionamento della virtù per il raggiungimento della totale sequela di Cristo, allora l’osservanza dell’obbedienza rientra sicuramente nell’adempimento dei comandamenti divini e di quelli ecclesiastici, ove non si trovino in opposizione; e tra questi sicuramente ha la precedenza il rispettivo statuto dell’Ordine.
Per colui che conduce una vita consacrata a Dio e che rafforza questa scelta con la professione dei voti, l’obbedienza rappresenta in definitiva l’attuazione della volontà di Dio nelle concrete situazioni della vita quotidiana. Ne consegue che, da un lato lo stesso Superiore dell’Ordine è vincolato a questa «regola aurea», dall’altro egli deve guidare e educare i suoi religiosi a compiere la volontà di Dio. Se ne deduce che gli ordini e l’autorità del Superiore religioso sono ben definiti. Non esiste quindi la «cieca obbedienza», ma l’obbedienza limitata, in quanto gli ordini impartiti potrebbero ledere un comandamento divino concreto.
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