(Rivista Internazionale - Dicembre 1998: Il voto di obbedienza - 3/3)

L’obbedienza non è una virtù divina, e la motivazione ce la fornisce San Tommaso d’Aquino, che afferma: «L’obbedienza non ha per oggetto diretto Dio, bensì un ordine impartito da un Superiore in maniera esplicita o per inciso». Per questo, l’obbedienza è una virtù morale e oggetto della virtù del culto dovuto a Dio. Questo, a sua volta, ci invita a rispettare le disposizioni del Superiore nel profondo rispetto dell’autorità che ce le ha emesse.
Pertanto, scopo dell’obbedienza è il compimento della volontà di Dio per mezzo dell’autorità istituita da Dio. Se quindi il Superiore richiama in maniera esplicita e formale al voto di obbedienza, questo sarà un segno che il vincolo dell’obbedienza è rilevante; dall’altro canto, il Superiore richiederà esplicitamente l’obbedienza solo in casi e in situazioni gravi.
Dunque, il voto di obbedienza richiede anche, da parte del Superiore, quella saggezza, esperienza di vita e sensibilità che gli consenta di valutare se il sottoposto è in grado, nella sua condizione di vita sociologica, di affrontare psicologicamente e di adempire l’eventuale disposizione.
A volte, quindi, prima di impartire un ordine concreto, sarà opportuno che il Superiore abbia un colloquio privato esplicativo con il subalterno; infatti, il fine ultimo sia del Superiore sia del religioso che dovrà obbedire, è favorire la manifestazione di un maggior culto dovuto a Dio.
Solo la meditazione e la preghiera, anche del Superiore e del sottoposto, potranno, a volte, chiarire la domanda dello scopo ultimo: «Qual è la volontà di Dio?», espressa nelle parole dal Superiore. In ultima analisi, però, le disposizioni del Superiore - che a sua volta porta la responsabilità di aver impartito un ordine - devono essere eseguite. A questo punto, il religioso deve accettare, guardando al Signore, dicendo: «Fiat voluntas tua».

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