Cavalleria
pellegrinaggio
ed Ordine di Malta

 

PAOLO CAUCCI VON SAUCKEN
Università di Perugia

enza dubbio uno dei nessi più profondi che uniscono la spiritualità e la cultura degli ordini militari alla civiltà dei pellegrinaggi è da ricercarsi nella relazione che comincia a formarsi concettualmente nella normalizzazione e moralizzazione della cavalleria. Sul piano reale questa unione inizia a realizzarsi soprattutto lungo le vie di pellegrinaggio per Gerusalemme e, una volta conquistata questa, in Gerusalemme stessa.
  Già da tempo la storiografia ha messo in evidenza come la Chiesa nei confronti di milites, indisciplinati e violenti abbia svolto, fin dall’alto medioevo, una azione tendente alla loro conversio e, quindi, alla loro integrazione al servizio delle finalità spirituali e degli interessi della Chiesa stessa 1.
  Nel X e XI secolo i Pontificalia raccolgono una serie di benedictiones e consacrationes della spada, e riportano esempi di Ordo ad armandum ecclesiae defensorem vel alium militem o di Benedictio ensis noviter succinti 2 che mostrano chiaramente l’intenzione di sacralizzare la cavalleria. A questo si aggiunge la nascita ed il rafforzarsi di culti verso santi cavalieri e verso eroi martiri. Si incoraggia il culto di San Michele arcangelo e si attiva la militarizzazione di santi cristiani che farà diventare l’apostolo Giacomo cavaliere celeste e protettore della Reconquista. Ma non solo lui: in sostegno delle truppe cristiane che combattono gli infedeli, appaiono santi “militari” come Giorgio, Demetrio, Teodoro, Mercurio, Martino e la stessa Vergine Maria. Lungo il Camino de Santiago, diverranno matamoros perfino il mite costruttore di ponti Santo Domingo de la Calzada, San Millán de la Cogolla e lo stesso Sant’Isidro di León viene rappresentato a cavallo con la spada fiammeggiante nell’atto di scagliarsi contro gli infedeli 3.
  Il processo, che si sviluppa attraverso varie fasi delle quali la tregua dei è un significativo passaggio 4, introduce nell’ambiente dei milites il principio, riflesso in tutta la letteratura cavalleresca, che il cavaliere, oltre ad essere miles Christi e defensor Ecclesiae deve essere protettore dei deboli, delle vedove e dei pauperes in genere. Una categoria quest’ultima della quale facevano parte, a buon diritto, i peregrini.
  Questa unione che alimenterà lo stretto rapporto tra cavalleria e pellegrinaggio si consolida nella prima metà dell’undicesimo secolo, allorché insieme ai pellegrini, che si dirigevano verso il santo sepolcro, lungo strade divenute più insicure a causa del radicalismo selgiuchida, si aggiungono sempre più frequentemente a loro protezione, ed essi stessi pellegrini, numerosi cavalieri.
  I pellegrini, d’altro canto, nelle situazioni più pericolose, tendevano naturalmente a raggrupparsi in schiere numerose, dotate spesso di strutture di autodifesa. Pellegrini cavalieri, o pellegrini protetti da cavalieri, quindi, si iniziano ad incontrare sulle strade per Gerusalemme, subito dopo il Mille, intessendo un legame che diverrà istituzionalmente definito con la nascita degli ordini militari. Di questa necessità se ne ebbe prova durante il pellegrinaggio a Gerusalemme, organizzato, nel 1065, dall’arcivescovo Siegfrid di Magonza, dai vescovi Gunter di Bamberga, Ottone di Ratisbona, Wilhelm di Ytrecth e molti altri che guidavano verso la Terrasanta circa 7000 pellegrini 5. Questi, in prossimità ormai di Gerusalemme, vennero assaliti dagli arabi e solo in parte riuscirono a salvarsi, armi alla mano e con l’intervento provvidenziale di rinforzi. Una vicenda che, anche attraverso le cronache di Lamberto di Ersfeld, influì notevolmente nella preparazione della prima crociata che possiamo considerare, perlomeno nella sua fase iniziale, come un pellegrinaggio armato che tenta di aprirsi la strada verso i luoghi santi.
  D’altro canto già da tempo le strade per Gerusalemme erano percorse da cavalieri pellegrini. Basti pensare all’abitudine, sorta all’interno della guardia mercenaria varega, di andare in pellegrinaggio da Costantinopoli ai luoghi santi al termine della ferma. V’è la memoria di un tale Kolsleggr che raggiunse Gerusalemme nel 992, seguito nel 1034 da Haroldo Hadrada uno dei vareghi più noti 6. Insieme a loro sono conosciuti i viaggi di pellegrini scandinavi che per mare spesso dopo essersi fermati in quella che chiamavano Jakobland, si dirigevano a Gerusalemme 7. È facile pensare che molti di questi pellegrini provenienti dall’ambiente militare compissero il viaggio con le proprie mani.
  Allo stesso modo i grandi signori di cui le cronache lasciano memoria del pellegrinaggio gerosolimitano, come Giuditta duchessa di Baviera, cognata dell’Imperatore Ottone I nel 970, o come i conti di Ardèche, di Vienne, di Verdun, d’Arcy, di Anhalt o di Gorizia 8, con ogni probabilità viaggiavano con una scorta armata.
  Inoltre, per contrapporsi all’espansione selgiuchida, i basilei bizantini, oltre agli scandinavi della guardia varega, avevano preso l’abitudine di arruolare cavalieri normanni in parte destinati a rafforzare l’esercito, in parte destinati alla protezione delle strade che portavano ad Antiochia e in Terrasanta.
  Non dobbiamo certamente stupirci, quindi, se, intorno all’anno mille, sulle strade per Gerusalemme, appaiono insieme ai pellegrini penitenti, devoti e timorati, altri pellegrini in armi per la propria difesa e per la difesa dei gruppi che ad essi si aggregavano 9.
  Un altro elemento che tende a spiegare il legame più stretto tra queste due figure va visto nel fatto che, oltre alla vicinanza fisica e alla condivisione di comuni rischi e pericoli, si instaura tra peregrini e milites crucesignati una forte unità mentale basata sulla similitudine dei vari privilegi temporali e spirituali che riguardavano sia gli uni che gli altri 10, ribadita anche da quella crux super vestem che li accomunava ed identificava. Lo stesso passagium verso la Terrasanta tende a corrispondere allo status viatoris della condizione umana 11.
  Nel 1189 l’imperatore Federico Barbarossa parte per la terza crociata prendendo il bordone e la bisaccia come un normale pellegrino. Molti cavalieri che vanno in Terrasanta aggiungeranno al proprio stemma la conchiglia di pellegrino a ricordo di un viaggio e di una avventura che non perde il carattere di peregrinatio 12.


[1] F. Cardini, Il guerriero e il cavaliere, in L’uomo medievale, a c. di J. Le Goff, Roma-Bari 1987, pp. 81-123.
[2] In F. Cardini, I poveri cavalieri di Cristo. Bernardo di Clairvaux e la fondazione dell’ordine templare, Rimini 1992, p. 21.
[3]
J.M. Monteroso Montero, Santiago, San Millán y San Raimundo, Milites Christi, in Catalogo della mostra Santiago Al-Andalus. Diálogos artísticos para un milenio, Santiago de Compostela 1997, pp. 483-500. Monteroso nota che mentre il rapporto tra Santiago e San Millán si fonda su racconti leggendari, ma riferiti a fatti storici precisi, in concreto alla battaglia di Simancas nella quale i due santi sarebbero scesi dal cielo su bianchi cavalli a fianco delle truppe cristiane, per San Raimundo de Fitero il carattere di miles Christi gli viene attribuito a partire dal XVII secolo, per prestito iconografico da Santiago ed in quanto, in qualità di fondatore dell’Ordine di Calatrava, poteva assai bene assumere i caratteri di un santo guerriero.
[4] Oltre l’ormai classico studio di L. Huberti, Studien zur Rechtgeschichte der Gottesfrieden und Landsfrieden, Ansbanch 1892, si veda A. Grabois, De la trêve de Dieu à la paix du roi: étude sur les transformations du mouvement de la paix au XII siècle, in Aa.Vv., Mélanges offert à René Crozet, I, Poitiers 1966, pp. 585-96 e G. Duby, Guerre et société dans l’Europe feudale: ordonnancement de la paix, in Concetto, storia, miti e immagini del Medio Evo, a c. di Branca, Firenze 1973, pp. 449-549.
[5] N. Ohler, I viaggi nel Medioevo, Milano 1988, p. 321.
[6] S. Runciman, Storia delle Crociate, Torino 1966, t. I, p. 43.
[7] V. Almazán, Gallaecia Scandinavica. Introducción ò estudio das relacions galaico-escandinavas durante a Idade Media, Vigo 1986.
[8] Runciman, cit., p. 41.
[9] Anche sulle vie per Roma spesso incontriamo pellegrini armati, o che viaggiano in gruppo, come segnala M. Miglio, in, In viaggio per Roma. Un itinerario nella Tuscia del Quattrocento, in “Biblioteca Società”, XVI, 4 (1997), p. 12: “L’undicesimo giorno può riprendere il cammino. È una turba viatorum che affronta ora i pericoli del viaggio dopo essersi contata (erano più di trecento), aver verificato quali armi avessero (la maggior parte di loro portava lance ferrate, molti archi, balestre e pugnali, dieci erano armati a cavallo) e aver scelto due tra loro che guidassero il cammino e fossero esperti di armi”. 
[10] J.A. Brundage, Medieval Canon Law and the Crusaders, Madison 1969.
[11] F. Cardini, Presentazione a Toscana e Terrasanta nel Medioevo, saggi raccolti e coordinati da F. Cardini, Firenze 1982, p. 18: “Grazie dunque ai meccanismi canonistici e al giro di affari che generavano, ma anche alle certezze mentali che sostenevano al fianco dei vivi, anche morenti e defunti partecipavano al passagium e godevano dei beni che esso dispensava; la crociata, insieme con il pellegrinaggio da cui era nata diveniva in tal modo il simbolo della esperienza vitale stessa: la vita intera era passagium verso la Gerusalemme celeste, via sulla quale gli uomini tutti altro non erano se non - come ricorda Giacomo da Varazze - pellegrini in battaglia. Questo rapporto tra crociata e pellegrinaggio e vita umana, questo sfumare della categoria crucesignatus in quella del peregrinus che del resto naturalmente la comprendeva, questo continuo intendere la vita umana essenzialmente come status viatoris erano costanti”.
[12] Olher, cit., p. 320: “Per designare il pellegrinaggio, il pellegrinaggio armato e la crociata, le fonti medievali latine usano i termini iter e peregrinatio (la parola Kreuzzug, crociata, fu adottata nella lingua tedesca solo nel XVIII secolo). Ecco perchè nel 1189 l’imperatore Federico Barbarossa, partendo per la terza crociata, prese con sé bastone e bisaccia come i ‘normali’ pellegrini”.

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