Origine della Contea


La Terra feudale di Condojanni, in Calabria Ultra, limitrofa al marchesato di Gerace, da antichissimo tempo apparteneva alla Casa Ruffo, e propriamente ad un ramo ultragenito dei Conti di Sinopoli. La ribellione di Nicolò Ruffo conte di Catanzaro e dei suoi parenti al re Ladislao determinò la confisca di
tutti i beni della grande famiglia feudataria calabrese.
Anche Condojanni subì la stessa sorte, e venne dal re Alfonso I data, con titolo comitale, ai Marullo di Messina. Non si conosce con precisione la data di questa concessione, ma da un atto legale ed autentico del 1435 in notar Azzarello di Messina risulta che già a tale data la Contea si apparteneva
alla mia famiglia che ne portava il titolo. Senonchè, il continuo guerreggiare di quei tempi turbinosi tra angioini ed aragonesi, con alterna prevalenza degli eserciti avversari che si contendevano il possesso del regno di Napoli, fece si che i dominii feudali non ebbero, per circa un cinquantennio, stabilità alcuna, ma cambiarono sovente di padrone col mutar degli eventi. Finalmente sotto il regno di Federico di Aragona , ultimo Sovrano di Napoli della stirpe illegittima del re Alfonso I, Condojanni venne definitivamente e stabilimente in possesso dei Marullo con l'aggiunta di altre Terre. La concessione definitiva procedè per un complesso costituito dai seguenti domini feudali: Bianco, Crepacore. Potomia, Motta Bruzzano, Torre Bruzzano, Motta Bovalino, Bovalino, Careri e Condojanni.
Su tale imponente comprensorio di feudi il re Federico concesse nel 1496 a Tommaso Marullo, che ne era intestatario, il titolo di marchese trasmissibile del quale titolo mi occuperò in seguito.
I Diplomi di Ferdinando il CattolicoNell'anno 1504 il re Ferdinando il Cattolico confermò la concessione fatta dal re Federico nel 1494 sopra citata, aggiungendovi il titolo comitale trasmissibile, col mero e misto, e prime e seconde cause.
Nel 1507 lo stesso re Cattolico concesse al predetto Tommaso ed a tutta la sua famiglia (figli, fratelli, nipoti) il titolo di Don trasmissibile in perpetuum << ita quoci ex incle in antea ornnes di detta famiglia intituelatur eci intitulan possint titulo Don >>.
Afferma il Sovrano nel Diploma, che tengo in copia legale in mio potere, che tale sua concessione fu determinata dalla grande fedeltà mostrata verso la Casa d'Aragona dal detto Don Tommaso e sua famiglia, e specialmente perché egli con suoi cavalli e fanti fece segnalate prove contro Monsignor d'Obigny ed altri Capitani francesi dell'esercito di Carlo VIII, venuti a guerreggiare in Calabria, dando cosi un validissimo aiuto alle truppe spagnole per la cacciata dei francesi dal regno, e nello stesso tempo perché il Don Tommaso sovvenne la Regia Corte di oltre diecimila ducati raccolti con suo grande sacrificio col pegnorare moltissimi suoi gioielli, sete e suppellettili di gran valore. Mercè tale sovvenzione del Conte di Condojanni, graziosamente fatta alla Real Corte, si poterono pagare gli stipendi alle truppe napoletane che, per non aver ricevuto per vari mesi le loro mercedi, si erano ammutinate rifiutandosi di combattere il nemico che avanzava verso il sud della Calabria saccheggiando e taglieggiando ovunque passava, sicchè sembrava giunta l'ora della estrema rovina della Casa d'Aragona di Napoli (Quinternione V. f, 184, Arch. di Stato di Napoli).

Il Conte Don Giovanni
Nel 1519 morì il Conte Don Tommaso e gli successe il figlio
primogenito Don Giovanni, il quale nello stesso anno ottenne le
investiture della Contea e degli altri Stati che possedeva in Si-
cilia.
Fu egli un illustre personaggio per i suoi grandi meriti e
per la sua altissima posizione sociale e morale. Sposò Donna
Francesca Moncada e de Lune, figlia del Conte di Caltanissetta
Antonio Moncada, e di Leonora de Luna e Salviati. Per questo
matrimonio la Contea di Augusta, che nel 1517 era stata ven-
duta dal detto Conte di Caltanissetta a Don Tommaso Marullo
per 50.000 fiorini d’oro col patto di riscatto, rimase in definitivo
possesso dei Marullo perché il padre della sposa cedette in dote,
tra gli altri beni, a Donna Francesca il diritto di riscattare la
Contea.
Il Conte Giovanni fu Stratig6 nel 1535, e con grande sfarzo
e signorilità accolse l’Imperatore Carlo V fermatosi in Messina
in quell’anno per alcuni giorni nel suo viaggio di ritorno dalla
Africa.
Nel 1550 il Conte fu chiamato a reggere la carica di Pre-
side per tutte le Calabrie con sede in Cosenza. Dal suo matri-
monio con la Moncada nacquero tre figli: Vincenzo, Francesco
e Leonora dei quali tratterò tra breve.
Rimasto vedovo ancora nella sua prima maturità Don Gio-
vanni passo a seconde nozze con una certa Bernardina di cui
non si conosce il casato per essere stato omesso anche nel suo
sepolcro marmoreo. e dalla quale ebbe una figlia a nome An-
tonia. Egli da tempo soffriva di gotta, e la malattia dove certa-
mente aggravarsi a causa del clima freddo ed umido di Co-
senza, ove dimorò qualche anno per il disimpegno della carica
di Preside delle Calabrie, alla quale, come si e detto, era stato
assunto nel 1550. Le sue condizioni di salute rapidamente si
aggravarono, e, per trovare il clima più mite, da Cosenza fu
trasferito nel suo castello di Condojanni, ove la morte lo colse
nel novembre 1556.
La sua salma fu, in esecuzione delle sue ultime volontà,
trasportata in Messina, e quivi inumata sotto 1’altare Mag-
giore del Tempio del Carmine Maggiore. Nel chiostro della stes-
so sacro edificio esisteva un bel sepolcro marmoreo che conte-
neva le spoglie di Bernardina suddetta sua seconda moglie, e
della figlia Antonia .
I disastri tellurici hanno cancellato ogni traccia di questi
monumenti.
Del figlio secondogenito Francesco non ho notizia aver egli
avuto discendenza. La figlia Leonora nel 1545 andò sposa a Don
Gio. Batt. Borgia Principe di Squillace.


Il Conte Don Vincenzo e le sue vicende
A Don Giovanni successe il figlio primogenito Vincenzo il
quale si investi della contea nel 1557. Se egli aumentò il lustro
della famiglia con le sue azioni belliche e ha attiva parte presa
alla battaglia di Lepanto, non può essere taciuto che la sua cat-
tiva amministrazione e gli errati indirizzi della sua vita fami-
liare furono causa del declino della sua Casa, declino che se-
gnò il preludio della rovina completa avveratasi pochi anni dopo
la sua morte.
Preferendo egli la residenza di Napoli a quella di Messina,
erasi da tempo, quasi stabilmente, trasferita nella metropoli
partenopea ove viveva la sua unica sorella Donna Eleonora, an-
data sposa, come si è detto, a Don Gio. Batt. Borgia principe di
Squillace nel 1545.
E per sostenere in quella capitale il prestigio del suo nome
e del suo titolo, e non derogare da quel tenore di vita che la
stretta parentela coi Borgia e coi Principi d’Aragona esigeva,
fu obbligato a vivere in una cornice di sfarzo, con cavalli, coc-
chi e numerosi servitori, prendendo parte alle brillanti riunioni
che i Viceré i gran signori napoletani e spagnoli frequente-
mente offrivano nelle loro sontuose dimore.
Egli era un uomo brillante, di bell’aspetto e di modi squi-
siti. e gli fu facile contrarre un cospicuo matrimonio con una
nobile donzella di Casa Pignone, del Seggio di Montagna.
Se tali nozze gli procurarono nuovi successi nel campo della
rigida e chiusa aristocrazia napoletana, e la aggregazione a quel
patriziato nello stesso Seggio di Montagna per ductionem uxo-
ris, gli causarono d’altra parte nuovi e più importanti dispendi.
La Contea di Condojanni era vasta ma le sue rendite non
erano vistose; in Sicilia egli possedeva la Baronia di Calata-
biano, che dei suoi beni era il cespite veramente redditizio, la
Contea di Augusta che fruttava pochissimo, ed alcune terre al-
lodiali e burgensatiche nel territorio di Messina, oltre il palaz-
zo ereditato dai suoi avi, che era ubicato nei pressi del Porto.
Queste rendite non potevano bastargli, e nel 1565 egli si
trovò costretto a vendere la Contea di Augusta a Federico Staiti,
sperando col ricavato di tale alienazione di appianare la sua
situazione economica che si presentava tutt’altro che rosea.
Ma le contrarie circostanze che da li a poco si verificarono
resero nulla la dolorosa mutilazione subita da Don Vincenzo
con la perdita di Augusta.
Erano passati appena sette anni dal contratto stipulato
con Federico Staiti, e mentre il Marullo riteneva appianata in
modo definitivo la sua posizione economica, un nuovo av-
venimento lo spinse di bel nuovo nel mare procelloso delle ingen-
tissime spese e dei conseguenti debiti.
Alla metà del 1570 e primi del 1571 si preparava la me-
morabile spedizione contro il Turco, spedizione che doveva, con
la grande battaglia di Lepanto, stroncare la potenza marinara
ottomana. Da tutte le parti d’Italia accorreva volenteroso il
fior fiore della nobiltà. Era una continua gara per offrire armi,
navi, combattenti alla grande impresa. Don Vincenzo Marullo,
spirito animoso e battagliero, espertissimo nella navigazione,
non volle rimanere indietro agli altri, e decise di intervenire
personalmente alla spedizione con l’apporto di una grande gale-
ra armata di tutto punto.
Recatosi a Genova, grande emporio navale, vi acquistò una
grossa galera, la munì di artiglierie, la equipaggiò di combat-
tenti, di schiavi, di artefici, la forni di viveri per una lunga na-
vigazione, e, sotto il suo esperto comando di provetto naviga-
tore, la diresse verso il porto di Messina nell’agosto del 1571
per unirla alla grande flotta cristiana che quivi erasi radunata,
in attesa dell’ordine di salpare le ancore per andare incontro
al nemico. Il Comandante supremo della armata cristiana, Don
Giovanni d’Austria, in considerazione delle qua1ità ben note
di esperto navigatore e di valoroso combattente che adornavano
la nobilissima persona del Marullo, lo accolse lietamente e lo
nominò Generale della Squadra dei Venturieri.
Il 16 settembre usci in bell’ordine la spedizione dal porto
di Messina tra le acclamazioni e gli auguri della popolazione
peloritana accorsa sui moli per salutare i partenti. Don Vin-
cenzo pochi giorni prima di imbarcarsi volle donare al suo uni-
co figlio Giovan Battista la ricca Baronia di Calatabiano con
atto rogato in Notar. Pisci di Messina in data 14 agosto 1571.
Le enormi spese che richiesero, sia l’acquisto della galera
sia il suo completo armamento ed equipaggiamento, ob-
bligarono l’intraprendente patrizio messinese a contrarre nuo-
vi onerosi debiti. Si rivolse per questo a due ricchi feudatari
che altre volte gli avevano fatto grossi prestiti: Don Giovan
Vincenzo del Tufo marchese di Genziano, e don Fabrizio Ca
rafa marchese di Castelvetere.Ebbe da costoro Un prestito di
circa 120.000 ducati, somma garentita da ipoteca sulla Contea
di Condojanni.
Tornò Don Vincenzo dalla vittoriosa impresa di Lepanto
circondato da un alone di gloria per le prove di valore date, e
giunto in Messina ebbe tributati grandi onori dai suoi concit-
tadini e dalle autorità ma i debiti da lui contratti gli rimasero
assai gravosi sulle spalle perché egli ricusò, come fecero quasi
tutti i gran signori che avevano partecipato alla impresa, non
solo qualsiasi compenso, ma anche la parte di bottino che gli
spettava. La quale parte era molto ingente perché ingentissi-
mo era stato il bottino preso alla sconfitta armata ottomana.
Se il Marullo non avesse obbedito all’orgoglio sarebbe stato
in grado di pagare i suoi creditori. Ma il destino aveva disposto
che quel grande patrimonio feudale dovesse da li a pochi anni
andare perduto.
Nel 1584 il conte Vincenzo, sentendosi ormai prossimo alla
fine, refutò la Contea al figlio Giovan Battista con i pesi che
sopra di essa gravavano, e non riservandosi cosa alcuna tranne
il titolo comitale sua vita natural durante. Gli rimasero alcuni
beni allodiali in Messina e la casa palazzata in città ove morì
nel 1586.
La vedova, dopo la sua morte, tornò a Napoli ove fini i suoi
giorni nel 1618. Il figlio Don Giovanni Battista fu un uomo
assai mediocre, e, forse per la sua inettitudine, oppure per fata-
lità di eventi, vide il crollo della Casa.

Il Conte Don Giovan Battista e la fine della linea primogenita.
Questo conte nel 1585, essendo ancora in vita il padre suo,
aveva perduto la Baronia di Catalabiano in forza di una sen-
tenza della Gran Corte di Sicilia che ne aveva assegnato il pos-
sesso a Don Ferdinando Gravina Cruillas. Dopo pochi anni, ad
istanza dei suoi creditori, gli venne intimata sentenza di espro-
pria della Contea di Condojanni, che fu messa ai pubblici in-
canti, e per renderne più facile l’acquisto venne smembrata in
vari lotti, composti ciascuno da Terre popolate e feudi rustici.
La Terra del Bianco e quella di Condojanni vennero aggiudi-
cate a Don Fabrizio Carafa in soddisfo del suo credito ipote-
cario di 72.000 scudi.
Altri concorrenti all’asta ebbero assegnate Crepacore, Bo-
valino, Careri. Potomia. In seguito i Carafa acquistarono a lici-
tazione privata Bruzzano e Torre Bruzzano. La vendita di que-
sti beni fruttò complessivamente 130.000 scudi che bastarono
appena ad estinguere i debiti ipotecari gravanti sulla Contea,
e a Don Giovanni Battista non rimasero che alcuni fondi di
poco valore che in seguito alienò.
Intervenne su questa vendita il Regio Assenso, ma Sua
Maestà volle che al Marullo rimanesse ad honorem il titolo co-
mitale in memoria dei grandi servigi resi dai suoi avi alla Co-
rona di Napoli.
Don Giovanni Battista, che era rimasto celibe, morì in Na-
poli nel 1629, nella casa che aveva ereditato dalla madre, pasta
nella contrada di Chiaia. Con lui si venne ad estinguere la
linea primogenita di Casa Marullo.
Il titolo comitale, per essergli stato riservato dal re sua vita
tantum, e non averlo i consanguinei delle linee collaterali mai
richiesto per rinnovazione, tornò automaticamente alla Corona
di Napoli, ed in tale situazione rimase e tuttoggi rimane. Che
il titolo suddetto non sia stato concesso ad altra casata lo prova
il fatto che in nessuno dei Regi Cedolari, dal 1620 alla fine della
feudalità, è registrato il passaggio della intestazione di Conte
di Condojanni ad altra famiglia.
Si aggiunga che nello Elenco Ufficiale dei Titolati del Re-
gno di Napoli, compilato nel 1675, a tanti anni di distanza
dallo smembramento della Contea, questa rimaneva intestata
ai Marullo. La stessa intestazione si riscontra nel Dizionario
Topografico del Regno di Napoli compilato da Lorenzo Giusti-
niani e stampato nel 1797 per ordine del Governo Borbonico,
quindi considerato pubblicazione ufficiale.
Dallo smembramento della Contea sorsero intanto alcuni
feudi nobili a favore di coloro che ne avevano acquistato parte.
Tra tali feudi vanno ricordati I Ducati di Bruzzano e di Preca-
core, e il Marchesato di Bovalino, titoli ancora oggi esistenti.
Col ritorno del titolo di Conte alla Corona di Napoli, dato
che la linea che lo possedeva si estinse da secoli, è inammissi-
bile parlare di prelazione di linee collaterali più o meno vicine
all’ultimo investito. E nel caso di richiesta di Rinnovaziorie,
che rappresenta il solo Provvedimento Nobiliare idoneo a far
rivivere titoli tornati alla Corona, farebbero solo gioco a favore
del richiedente, la sua situazione sociale e nobiliare ed i suoi
meriti personali, tenendo però sempre presente, a parità di attri-
buti e di requisiti personali, in una eventuale contestazione,
il diritto di priorità che scaturisce dalla anzianità di una linea
sulle altre derivanti tutte da un comune stipite.

Perche i Carafa Principi di Roccella figurano inte-
statari del predicato di Condojanni

Chi legge l’Elenco Ufficiale della Nobiltà Italiana trova che
il predicato di Condojanni risulta attribuito alla illustre Casa
Carafa di Roccella, patrizia napolitana. Questo fatto potrebbe
a prima vista sembrare in contrasto con quello che nelle prece-
denti righe ho affermato circa il non mai avvenuto passaggio
del nostro titolo comitale incardinato sul predicato di Condo-
janni in altra casata. Credo quindi opportuno fermarmi bre-
vemente su questo punto per chiarire gli eventuali dubbi e
spiegare il perchè i Principi Carafa ebbero attribuito il predi-
cato di cui sopra.
Come nelle prime pagine di questo capitolo ho fatto men-
zione,la concessione iniziale ottenuta dai Marullo in Calabria
Ultra, e confermata nel 1504 col Privilegio di Ferdinando il
Cattolico, era composta dalle seguenti otto Terre: Bianco, Cre-
pacore, Potomia, Torre Bruzzano, Motta Bruzzano, Bovalino,
Careri seu Pannuri, e Condojanni. Su tale complesso di feudi,
senza alcun pregiudizio nè per il titolo baronale già esistente
ab immemorabile sul Bianco, nè per quello marchesale conces-
so dal Re Federico nel 1496, del quale ultimo mi occuperò in
altro capitolo, Ferdinando il Cattolico aggiunse nel 1504 il ti-
tolo comitale concedendolo su tutto il vasto dominio compren-
dente le otto Terre feudali sopra elencate, il quale dominio feu-
dale da allora prese il nome di Contea di Condojanni. Tale deno-
minazione non fu data per la importanza del suddetto feudo,
ma solo perché esso era dotato di un buon castello fortificato
con in centro una grande torre quadrata (ancora in parte esi-
stente) circondata da alte muraglie. Il tutto posto su un colle
lontano dalla marina e quindi in un certo qual modo poco
esposto alle frequenti incursioni dei pirati barbareschi che in-
festavano in quei tempi i nostri mari.
In effetti la Terra di Condojanni non presentava alcuna
superiorità sulle altre che formavano la Contea, nè dal punto
di vista del reddito, nè da quello del numero dei suoi fuochi.
E ciò si rileva dal Repertorio del Quinternione di Calabria Ultra
per l’anno 1585 in cui si legge che l’ultimo Conte, Don Giovan
Battista Marullo, era tassato per adoha delle vane Terre for-
manti la Contea nella seguente misura:
Per Bianco in ducati 78.8.18
Per Bovalino in ducati 48.4.16
Per Condojanni in ducati 39.1.10
Per Careri in ducati 24.2.17
Per Potomia in ducati 24.4.16
Per Torre Bruzzano in ducati 23.4. 0
Per Crepacore in ducati 18.2.18
Per Motta Bruzzano in ducati 6.0.10

Complessivamente Ia tassa ammontava a ducati 258.20.10
oltre quanta era davuta per Jus Tapeti, Capitania, Bajulazione
e Falangaggio .
Messa all’asta la Contea smembrata, come si è detto, in
otto lotti comprendenti ciascuno una delle otto Terre, Don Fa-
brizio Carafa marchese di Castelvetere, in soddisfo del suo cre-
dito ipotecario, si rese aggiudicataria del Bianco e di Condojan-
ni, e poi a licitazione privata comprò Motta Bruzzano e Torre
Bruzzano, la quale ultima in seguito fu elevata a Ducea. Ca-
reri, Potomia, Bovalino e Crepacore vennero all’asta aggiu-
dicate ad altri creditori ed acquirenti. Da allora i Carafa della
Spina, per successione del suddetto Don Fabrizio, possedettero
le quattro Terre sopracitate, come puri e semplici feudi, tranne
Torre Bruzzano che, come ho detto, diveniva poi il Ducato di
Bruzzano. Esaminando infatti il Regio Cedolanio che va dal-
l’anno 1732 al 1766, a foglio 362 e seguenti Si legge << Illustris
<<Don Januanius Caraf a Duca Bruzzani, tenetur pro Castro-
<<vetere in Ducatis 99,2,10, Roccella in Ducatis 43, Condojanni
<<in Ducatis 39,1,10, Bianco in Ducatis 78,2,18, Casale Siderni
<<in Ducatis 31, etc. etc. >>
La stessa intestazione si trova nel Relevio del 1768 a favore
di Don Vincenzo Maria Carafa, il quale per Decreto di Pream
bolo della Gran Corte della Vicaria, interposto a 3 Novembre
1767, fu dichiarato erede universale e particolare in pheudali-
bus e titolaris del defunto suo padre Don Januanio sopradetto.
Tutto ciò è confermato dal seguente Decreto della Regia Ca-
mera della Sommaria:
<< Visis relatione magnifici Rationalis Regii Cedolari, fol.
<<11-19, et instantia Regi Fisci in calce ipsius, ac Apoca Banci
<<fol. 20, per dominum militem D. Januanium de Ferdinando,
<<Regie Camere Summarie Presidentem et Commissarium, fuit
<<provisum et decretum quad, stante salutiane sequuta ducato-
<<rum 8, assium 67, in beneficium Regie Curie, fiat intestatio
<<in libris Regi Cedalani in faciem odierni illustris Principis
<<Roccelle Don Vincentii Marie Carafa feudorum enunciato-
<<rum in dicta Relatione, et pro capite in eadem relatione con-
<<tento expediatur mandatum iusta instantiam Regi Fisci. Hoc
<<suum etc etc; De Ferdinando - Genuino Actuarius
<<Certificandovi intanto del predetto, vi dicemo che per
<<esecuzione del suddetto preinserto decreto e precedente istan-
<<za fiscale, dobbiate descrivere e far descrivere cosi sopra i libri
<<del Regio Cedolario, come in ogni altro dove conviene, tutti i
<<Feudi dalla suddetta preinserta Relazione portati in testa
<<dello illustre odierno Principe della Roccella, colla istessa tassa
<<con la quale notati si trovano nelli stessi libri, e ciò per futura
<<intelligenza e cautela cosi del Regio Fisco, che delle parti.
<<Datum Neapoli ex Regia Camera Summarie, die 23 mensis
<<martii 1772 - Don Angelus Cavalcanti Magni Camerari Lo-
<<cumentenens, Januarius de Ferdinando - Vidit Fiscus, Joan-
<<nes Genoino Actuarius, Felix del Gesù Magister Actorum.>>
Segue la intestazione:
<< Et sic predictus illustris Princips Roccelle et Dux Bruz-
<<zano D. Vincentius Marie Carafa tenetur etc. etc.
<<Pro Motta Bruzzani in ducatis 6.10, Turri Bruzzani in
<<ducatis 23.4.3, Brancaleone in ducatis 91.1.15, Grupteria in
<<ducatis 24, Castrovetere in ducatis 91.2 10, Roccelle in du-
<<catis 43, Condo janni in ducatis 39.1.10, <<Blanco in ducatis
<<78.2.18, Casale Siderni in ducatis 31.
<<OLEI Rationalis Generali - Die 20 mensis decembris 1780.>>
Sopravvenuta dopo pochi anni l’abolizione della feudalità
il sopra trascritto Relevio del 1780 rimase uno degli ultimi, se
non l’ultimo, sui beni di Casa Carafa che si leggono trascritti
nei Regi Cedolani. E poichè alla metà del secolo scorso fu isti-
tuita nel Regno delle Due Sicilie la Real Commissione dei Ti-
toli di Nobiltà, la famiglia Carafa, come fecero tutti i titolati
e nobili del detto Regno, presentò alla suddetta Commissione,
che aveva sede in Napoli, tutti i documenti atti a provare il suo
diritto ai titoli e predicati di cui si fregiava in forza delle leggi
allora vigenti. Apparendo dal Regio Cedolario del 1780 di essere
tale illustre Casato in possesso, tra tutti gli altri feudi, di Con-
dojanni, di Bianco, di Motta Bruzzano e di Siderno, venne
trascritta a suo favore la intestazione di tali predicati senza però
che su di essi fosse incardinato nessun titolo nobiliare. Nello
stesso tempo le furono riconosciuti i seguenti titoli appoggiati
a possessi feudali: Principe di Roccella, Duca di Bruzzano, Mar-
chese di Castelvetere e di Brancaleone, e Conte di Grotteria.
La Consulta Araldica del Regno d’Italia, facendo proprie le con-
clusioni e le deliberazioni della Real Commissione Borbonica
dei Titoli di Nobiltà, iscrisse negli Elenchi Ufficiali della No-
biltà Italiana la suddetta famiglia Carafa con i predicati sopra
elencati. Questa è la ragione per la quale il predicato di Con-
dojanni figura attribuito ai Principi Carafa di Roccella.
Dopo quanto qui ho esposto, basandomi su legali ed auten-
tici documenti, non deve rimanere alcun dubbio che Condojan-
ni rappresenta e ricorda due differenti domini feudali dei quali
l’uno la vasta Contea comprendente le otto Terre sopra enun-
ciate, Contea che fu esclusivamente della mia famiglia e non
passò mai ad altra casata, per la quale ragione ne portiamo da
secoli il predicato, l’altro rappresenta il possesso della sola pic-
cola Terra di Condojanni che alla abolizione della feudalità ri-
sultò nei Regi Cedolari di pertinenza dei Carafa della Spina.
Si tratta quindi di due ben differenti situazioni nobiliari
pur portanti lo stesso predicato, come tanti casi analoghi si
riscontrano sia nel Libro d’Oro come negli Elenchi Ufficiali
della Nobiltà Italiana. E pertanto nessuna incompatibilità sus-
siste, ne eventuale abuso o lesione di diritti ne per l’una ne per
l’altra delle due famiglie che dello stesso predicato de jure si
fregiano.
Nel 1939 chiesi alla Consulta Araldica Italiana, con l’ap-
poggio di ampie documentazioni legali ed autentiche, la Rin-
novazione del titolo di Conte di Condojanni trasmissibile, titolo
che, come nelle pagine precedenti ho affermato, allo smembra-
mento della contea rimase per Sovrana Risoluzione alla linea
primogenita della mia famiglia che lo possedeva e dopo la sua
estinzione tornò alla Corona di Napoli.La mia richiesta, dopo
lungo esame da parte degli organi competenti ufficiali aral-
dici, fu accolta favorevolmente, ed il Commissario del Re di
quel tempo, Prof. Pietro Fedele, nel 1940 nel comunicarmi tale
affermativa decisione, mi fece sapere che il Capo del Governo,
Mussolini, voleva che prima di sottoporre il relativo Decreto di
Rinnovazione alla firma del Sovrano, io versassi una oblazione
di L. 200.000 a favore delle opere del regime fascista per costi-
tuire due o più premi di nuzialità.
Questa era peraltro nell’epoca del Ventennio la normale
richiesta che si praticava al Viminale nei confronti di coloro
che chiedevano Provvedimenti Nobiliari ma che, come me, non
potevano vantare benemerenze verso il Fascismo ne disporre
di protezioni a di amicizie di influenti gerarchi del Regime. Ri-
sposi al Fedele ed al Cancelliere della Consulta Araldica del
tempo che per il momento non ero disposto a sborsare la som-
ma richiestami, ma che mi riservavo di prendere in seguito una
decisione. La verità invece è che la proposta fattami mi sem-
brò quanta mai inopportuna giacchè era inammissibile che per
far rivivere un titolo nobiliare di portata storica. Appartenuto
ai miei avi per tanti secoli, io dovessi comprarlo per lire due-
centomila come se si trattasse di una nuova concessione
fatta ad un nuovo nobile.
Gli eventi bellici di quegli anni ed i conseguenti cambia-
menti politici ed istituzionali troncarono ogni ulteriore tratta-
tiva, e qualche anno fa ritirai dalla Consulta Araldica tutto il
prezioso materiale documentario che avevo presentato a soste-
gno della mia richiesta, e lo tengo nel mia archivio, auguran-
domi che a mio figlio Vittorio o mio nipote Carlo, in un pros-
simo a lontano avvenire, possano adoperarlo per riprendere
questa pratica e portarla felicemente in porto, la qual cosa non
è stata dal destino a me concessa. Tuttavia ho avuto la sod-

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