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								A 
								Malta  
								 
								 rida, 
								sassosa, quasi priva di vegetazione, Malta mette 
								subito a dura prova la tenacia e lo spirito di 
								sacrificio dei suoi nuovi proprietari. Modeste 
								le risorse naturali, mediocri le condizioni 
								delle difese. Il primo bilancio che i Giovanniti 
								sono costretti a fare della loro nuova patria é 
								scoraggiante, ma durante i due secoli di 
								permanenza a Rodi, hanno acquistato una 
								mentalitá marinara e insulare e la lunga 
								esperienza non manca di suggerire soluzioni ai 
								numerosi problemi. 
								 
								Unico elemento positivo, la condizione delle 
								coste: due insenature molto ampie e profonde 
								possono ospitare numerose navi di notevoli 
								dimensioni e stazza. Due porti che risultano 
								subito in grado di offrire un rifugio piú che 
								adeguato alla flotta, consentendole di manovrare 
								con facilità. Una questione determinante quella 
								riguardante la sistemazione del naviglio da 
								guerra, se si considera che, soprattutto nei 
								primi tempi, anche la difesa dell'isola sará 
								affidata alla squadra poiché, in caso di 
								attacco, le fortificazioni disponibili non 
								costituivano un ostacolo consistente. 
								 
								Innumerevoli le imprese compiute negli anni che 
								seguono. Un periodo durante il quale l'Ordine 
								sembra acquisire sempre piú coscienza del ruolo 
								che é chiamato a svolgere e le azioni dei suoi 
								capitani vanno ad arricchirne la storia non solo 
								per l'importanza militare dei singoli episodi, 
								ma perché testimoniano quanto costante sia stato 
								l'impegno di tutti i suoi membri nell'assolvere 
								i compiti istituzionali. 
								 
								Fin dai primi mesi si era cominciato a lavorare 
								senza soste e se da un punto di vista strategico 
								l'isola aveva una posizione di grande valore, 
								per quanti sforzi venissero fatti non si 
								riusciva a fortificaría del tutto. C'era da 
								meravigliarsi che i turchi non ne avessero fatto 
								da tempo un loro caposaldo e l'unica risposta 
								plausibile a una simile considerazione, stava 
								nella assoluta convinzione della Mezzaluna di 
								non avere  
								
									
										
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										| 
										Sugli 
										spalti di Malta il Gran Maestro Jean de 
										La Vallette esorta i cavalieri. 
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								rivali 
								nel Mediterraneo. Inutile, pertanto, 
								intraprendere un'impresa così costosa e 
								complessa come quella che i Gerosolimitani si 
								stavano accingendo a compiere.  
								 
								Il 21 luglio del 1547, mentre le navi erano 
								impegnate in una missione, il corsaro Dragut, 
								uno dei piú abili e temibili capitani turchi, 
								spinse la sua audacia a sbarcare sull'isola con 
								un gruppo di soldati e a catturare trecento 
								maltesi. Difficile stabilire se si sia trattato 
								di un gesto di coraggio o di un'azione 
								dimostrativa. L'impresa di Dragut stava comunque 
								a indicare che, anche se impegnato proprio in 
								quegli anni a conquistare l'Europa dell'Est, 
								l'Islam non rinunciava a considerarsi padrone 
								del Mediterraneo e ad ammonire l'eterno nemico 
								che Malta rimaneva un obiettivo contro il quale 
								avrebbe presto rivolto i suoi artigli. 
								 
								Molte altre le mosse, con le quali Solimano e i 
								suoi ammiragli lasceranno chiaramente intendere 
								che, prima o poi, anche l'Italia sarebbe 
								rientrata nei loro programmi di conquista. 
								 
								Nel 1550 Massa e Sorrento sono assalite e 
								saccheggiate e piú volte negli anni successivi, 
								navi musulmane risaliranno la corrente del 
								Tevere, spingendosi fin quasi alle porte di 
								Roma. 
								 
								Ma nei primi mesi del 1564, le notizie che 
								giungono da Costantinopoli indicano che Solimano 
								é in procinto di lanciare le sue armate in una 
								nuova e grandiosa impresa. Il vecchio sultano 
								possiede un impero sterminato, ma ha ancora un 
								progetto da realizzare: conquistare Roma, la 
								capitale della Cristianítá. Un sogno che non osa 
								confessare nemmeno a se stesso , ma che lo 
								ossessiona da tempo E fra la Mela Rossa, come 
								chiamano i turchi l'Urbe, e la sua scimitarra 
								c'é ormai soltanto l'isola dei cavalieri: un 
								caposaldo dal quale i Giovanniti possono far 
								partire le loro navi per compiere veloci e 
								micidiali incursioni. Un'armata che avesse per 
								obiettivo l'Italia, non potrebbe lasciarsi alle 
								spalle quella base senza correre il rischio di 
								vedersi tagliare i rifornimenti. Una roccaforte 
								che va, dunque, conquistata: un'occasione per 
								eliminare una volta per tutte i Gerosolimitani. 
								 
								Incapaci di trovare un accordo, perennemente 
								divise da interessi e gelosie di vario genere, 
								le potenze cristiane non ascoltano le 
								esortazioni del papa Pio IV che esprime piú 
								volte e con energia, la sua preoccupazione per 
								l'imminente pericolo. 
								 
								Lo sforzo organizzativo che l'impero turco sta 
								affrontando é eccezionale e dimostra che 
								Costantinopoli sta preparando una guerra lunga e 
								difficile. Nelle regioni dell'impero vengono 
								effettuati massicci reclutamenti di uomini e le 
								cifre riguardanti le navi in allestimento sono 
								impressionanti. Tutto fa ritenere plausibile 
								l'ipotesi di alcuni osservatori, secondo i quali 
								Malta potrebbe costituire un falso scopo mentre 
								l'armata musulmana starebbe in realtá per fare 
								vela verso l'Italia. 
								 
  
								Quali 
								che fossero le immediate intenzioni di Solimano, 
								era comunque certo che, caduta l'isola dei 
								Giovanniti, egli avrebbe rivolto il suo sguardo 
								verso la penisola. 
								 
								Gli appelli di Pio IV resteranno inascoltati. 
								Nel Concistoro del 23 febbraio del 1565, il 
								Pontefice si rivolge con accenti accorati agli 
								ambasciatori affinché rappresentino ai 
								rispettivi sovrani, la gravità della situazione. 
								Ma anche questa solenne e ufficiale esortazione 
								non porta ad alcun risultato mentre gli eventi 
								precipitano. 
								 
								Pochi giorni dopo, la mattina del 22 marzo, sul 
								molo principale del Corno d'Oro, Solimano il 
								Magnifico riceve l'omaggio della piú grande 
								armata che abbia mai messo in campo nel corso 
								della sua lunga carriera di condottiero. Prima 
								di imbarcarsi, migliaia di uomini gli giurano 
								fedeltá fino alla morte e nelle capitali europee 
								qualcuno comincia finalmente a pensare di aver 
								sottovalutato la minaccia che proviene da 
								Oriente. 
								 
								Ma se i governi delle potenze cristiane si sono 
								disinteressati del pericolo, i particolari 
								riguardanti l'imminenza dell'attacco sono noti 
								da tempo a Jean Parisot de La Vallette, 
								quarantanovesimo Gran Maestro della Religione. 
								Nato a Tolosa nel 1494 da antica e nobile 
								famiglia provenzale, questo valoroso soldato ha 
								dedicato la vita all'ideale giovannita ed è 
								stato protagonista di alcune tra le piú 
								importanti vicende dell'Ordine. Condottiero di 
								grande esperienza, é considerato uno dei piú 
								audaci capitani del suo tempo. Politico attento 
								e sagace, ha intrattenuto costanti rapporti con 
								tutti i sovrani europei, pur non ritenendo 
								attuabile il progetto, tante volte discusso, di 
								un'alleanza tra gli stati cristiani che affronti 
								il comune nemico in modo radicale. Tanto meno 
								crede alla possibilitá che qualcuno venga ad 
								aiutare lui e i suoi confratelli nel momento del 
								pericolo. Ha ventotto anni quando vive la 
								drammatica esperienza dell'assedio di Rodi. É 
								convinto che dall'Europa arriveranno navi e 
								armati, per soccorrere i Cavalieri impegnati in 
								una battaglia combattuta in nome di tutta la 
								Cristianitá. Ma i mesi passano e nessuna vela 
								appare all'orizzonte mentre, giorno per giorno, 
								vede morire i suoi confratelli. Una delusione 
								che inciderá molto sul suo animo: l'indifferenza 
								dell'Occidente ha mortificato il suo spirito 
								cavalleresco, inducendolo a diffidare delle 
								promesse.  
								 
  
								
									
										
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										Una 
										veduta del Forte Sant'Angelo nucleo 
										centrale del sistema difensivo 
										dell'isola di Malta.  | 
									 
								 
 
								Questo 
								l'uomo che Solimano ha di fronte. Mentre scruta 
								il mare da Forte Sant'Elmo, il vecchio Gran 
								Maestro torna con il pensiero alle sofferenze 
								patite, alle umiliazioni subite, alle vittorie 
								riportate in nome della Sacra Milizia. Lo 
								scontro nel quale sta per gettare tutte le 
								residue energie é l'ultimo della sua vita. Ed é 
								questa certezza a renderlo invincibile. 
								Nonostante gli sforzi, gli é mancato il tempo 
								per trasformare Malta in una roccaforte 
								imprendibile, ma ha predisposto il necessario 
								per renderne quanto piú ardua possibile la 
								conquista. 
								 
								Se puó avere qualche rammarico sullo stato delle 
								opere militari, Jean Parisot de La Vallette é, 
								peró, soddisfatto del suo servizio informazioni. 
								Da tempo, infatti, aveva inviato a 
								Costantinopoli alcuni Cavalieri con il compito 
								di fornirgli continui rapporti circa le mosse e 
								le decisioni di Solimano. Veri e propri agenti 
								segreti, quegli uomini si erano dimostrati di 
								grande utilitá non solo per assicurare notizie, 
								ma per compiere anche audaci colpi di mano. 
								 
								E il 19 gennaio del 1565, il Gran Maestro riceve 
								un dispaccio con l'annuncio che la spedizione 
								contro l'isola é ormai decisa per la primavera. 
								L'ora tanto attesa é giunta e Jean de La 
								Vallette invia ai Gran Priori l'ordine di 
								mobilitazione per tutti i confratelli in grado 
								di combattere. Sa che non riceverá aiuti e che 
								potrà contare solo sulla sua gente. 
								 
								La mattina del 18 maggio, quando un colpo di 
								cannone sparato da Forte Sant'Elmo annuncia 
								l'arrivo della flotta nemica, sulle mura ci sono 
								quattrocentosettanta Giovanniti, mille e 
								seicento mercenari italiani e spagnoli, 
								cinquemila soldati della milizia maltese, 
								centoventi artiglieri e sessantasette serventi 
								ai pezzi. Sul fronte opposto, cinquecento navi e 
								quarantamila uomini. Le forze di terra sono agli 
								ordini del Serraschiere Mustafá, mentre la 
								flotta é comandata dall'ammiraglio Pialí. Tra i 
								due non corre buon sangue e dal loro disaccordo 
								deriveranno diversi vantaggi per gli assediati. 
								 
								I turchi non sembrano voler perdere tempo. Dopo 
								una serie di incursioni in vari settori delle 
								fortificazioni, decidono di investire Sant'Elmo. 
								Ritengono che caduta quella piazzaforte, tutta 
								l'isola sará nelle loro mani. Un grave errore di 
								impostazione strategica, poiché la conquista 
								della fortezza costerà perdite gravissime e non 
								comprometterá il resto delle difese. 
								 
								Fin dalle prime fasi dell'assedio, appare chiaro 
								che i musulmani fanno affidamento soprattutto 
								sul numero e sulla forza devastatrice delle loro 
								artiglierie. Ventisei giorni durerá il 
								bombardamento di Forte Sant'Elmo. Una 
								martellante pioggia di proiettili interrotta, di 
								tanto in tanto, da inutili quanto sanguinosi 
								tentativi di scalata.  
								
								L'assalto generale fissato per la mattina del 16 
								giugno, si protrae per sette ore. Migliaia di 
								giannizzeri tentano di sopraffare un pugno di 
								uomini che si oppone alla loro furia ma per due 
								volte i Cavalieri respingono gli awersari che, 
								costretti a ripiegare, lasciano sul terreno piú 
								di mille morti. Anche i Giovanniti sono peró 
								allo stremo. 
								 
								Altre giornate di cannoneggiamenti e il 22 
								giugno il nemico prova di nuovo. Nel disperato 
								tentativo di raggiungere la sommitá delle mura, 
								i turchi impiegano centinaia di scale lungo le 
								quali si arrampicano sospinti dall'assordante 
								rullio dei tamburi e dalle incitazioni dei loro 
								capi. 
								 
								Ma anche se torturati dal caldo, dalla sete e 
								dalle ferite, i difensori riescono a ricacciare 
								indietro i nemici, investendoli con una valanga 
								di pietre e di fuoco. «Non ci sono piú munizioni 
								e non c'é Giovannita che non sia ferito» 
								racconta un soldato che riesce a raggiungere il 
								Gran Maestro, attraversando a nuoto un braccio 
								di mare. 
								 
								Il 23 giugno, vigilia di San Giovanni, Patrono 
								dell'Ordine, é il giorno per lanciare una nuova 
								offensiva. I pochi Gerosolimitani superstiti si 
								confessano l'un l'altro e si comunicano. 
								Conoscono la propria sorte: nessuno potrá 
								accorrere in loro aiuto ed é inutile sperare 
								nella pietá del nemico. 
								 
								L'ultimo duello avviene sulla soglia della 
								cappella. Uno scontro che dura pochi minuti. 
								Poi, massacrati gli ultimi avversari, gli 
								ottomani piantano sulle rovine della fortezza 
								gli standardi della Mezzaluna. Il baluardo piú 
								munito dell'intera isola é nelle loro mani. Ma a 
								quale prezzo. Per piegare la tenacia dei 
								Giovanniti sono stati necessari trenta giorni di 
								combattimenti, 18 mila colpi di cannone e la 
								vita di seimila giannizzeri. Pesanti le perdite 
								anche da parte cristiana. Centosette Cavalieri e 
								1500 soldati son caduti. 
								 
								Ma l'isola é ancora tutta da conquistare e 
								l'eroismo dei difesori di Sant'Elmo ha 
								galvanizzato gli altri soldati della Croce. Il 
								30 giugno seicento uomini, compresi 
								quarantaquattro Cavalieri, giungono dalla 
								Sicilia. Poca cosa rispetto al numero dei 
								nemici, ma il loro arrivo serve a risollevare 
								gli animi. 
								 
								Sarebbe lungo riferire ed elencare gli 
								innumerevoli atti di eroismo e le imprese 
								compiute dai Gerosolimitani durante gli 
								interminabili mesi dell'assedio. La loro 
								determinazione e il loro coraggio contribuiscono 
								a salvare la Cristianitá e la civiltá 
								occidentale. Uomini provenienti da diverse 
								nazioni, danno all'Europa, disunita e incerta,
								 
								
									
										
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										Il 
										palazzo dal quale Jean de La Vallette 
										guidò le fasi del lungo assedio. 
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								l'esempio di quanto siano importanti la fede e 
								un comune ideale. A Malta non si stava svolgendo 
								una delle tante battaglie tra cristiani e 
								musulmani, ma era in gioco il prestigio militare 
								dei due schieramenti. Una partita decisiva tra 
								la Croce e la Mezzaluna. 
								 
								Il 15 luglio Mustafá lancia un attacco in grande 
								stile. Spera di aver fiaccato, con un ennesimo e 
								interminabile bombardamento, la volontá degli 
								avversari e conta, ancora una volta, sulla 
								schiacciante superioritá numerica dei suoi. Ma 
								gli uomini della Sacra Milizia riescono invece a 
								resistere, mentre i turchi sembrano perdere, via 
								via che passano i giorni, l'abituale baldanza e 
								la sicurezza di tornare in patria vincitori. 
								 
								Altri tentativi di piegare gli assediati saranno 
								compiuti il 2 e il 7 agosto ma, nonostante le 
								perdite, i cristiani, sostenuti dalle 
								esortazioni e dall'esempio dell'infaticabile 
								Gran Maestro, avranno ancora una volta la 
								meglio. 
								 
								Mustafá non si rassegna. Per tutto il mese di 
								agosto le sue artiglierie vomiteranno raffiche 
								di proiettili contro le postazioni nemiche e le 
								migliori fanterie turche si faranno massacrare 
								senza ottenere alcun risulato. Furente e 
								disperato, il comandante dell'armata ottomana 
								gioca le ultime carte. La sua gente é ormai 
								demoralizzata e sfinita e mentre dalla Sicilia 
								giungono notizie dell'imminente arrivo di 
								rinforzi per gli assediati, il tempo si mette al 
								brutto. L'ammiraglio Pialí sostiene che l'estate 
								é alla fine e che un'improvvisa burrasca 
								potrebbe sorprendere la flotta alla fonda in un 
								mare irto di scogli. Il 23 e il 30 agosto, gli 
								ultimi tentativi per conquistare il cuore di 
								quell'isola, sulle cui spiagge Mustafá era 
								sicuro di poter concludere trionfalmente la sua 
								carriera di condottiero. 
								 
								Ogni sforzo si dimostra vano. Imbarcato 
								l'esercito decimato e avvilito, i comandanti 
								danno l'ordine di far vela verso Costantinopoli 
								dove li attendono l'ira e la vendetta del 
								sultano. É l'8 settembre, festa della Nativitá 
								della Vergine e nelle acque di Malta stanno per 
								arrivare le navi di quello che sará ricordato 
								come il Grande Soccorso. 
								 
								Sulle mura, ridotte a un cumulo di macerie, 
								sventolano gli stendardi della Religione mentre 
								si conclude una delle pagine piú gloriose della 
								storia dell'Occidente cristiano. I Cavalieri di 
								San Giovanni, di Rodi e di Malta non hanno 
								soltanto sconfitto l'armata dell'lslam, ma hanno 
								mortificato la fanatica certezza di superioritá 
								di un impero. 
								 
								Qualche giorno dopo, Jean de La Vallette metterá 
								a segno un altro colpo contro Solimano. Gli 
								agenti segreti, gli stessi che lo avevano tenuto 
								costantemente informato sulle mosse 
								dell'avversario, incendiano l'arsenale di 
								Costantinopoli. Un'impresa che demoralizza il 
								vecchio sultano il quale si sente, per la prima 
								volta, minacciato fin nella capitale del suo 
								regno.  
  
								Ma la 
								vittoria non distoglie il Gran Maestro e il 
								Consiglio dai loro doveri. L'assedio aveva 
								dimostrato la debolezza delle difese ed era 
								necessario provvedere per tempo. Non c'era da 
								farsi troppe illusioni: prima o poi i turchi 
								sarebbero tornati per vendicare la cocente 
								sconfitta subita ed era necessario prepararsi. 
								 
								Fin dal suo arrivo a Malta, Jean de La Vallette 
								aveva pensato di edificare una grande cittá 
								sull'altipiano che dominava l'isola. Un'idea che 
								ora poteva finalmente realizzare. L'incarico di 
								disegnare il progetto fu affidato all'architetto 
								Francesco Laparelli da Cortona, al quale il Gran 
								Maestro concesse tempi molto brevi. Il vecchio 
								soldato aveva fretta di mettere la sua isola in 
								condizioni di resistere a un ritorno del nemico 
								e contagiava la sua ansia anche ai piú stretti 
								collaboratori. 
								 
								E solo pochi mesi dopo, il 28 marzo del 1566, 
								nel corso di una solenne cerimonia, il Gran 
								Maestro poneva la prima pietra di quella che 
								sarebbe divenuta la cittá che porta ancora oggi 
								il suo nome. Aiutato da un allievo maltese, 
								Gerosalmo Cassar, Francesco Laparelli fará della 
								capitale di Malta un esempio di stile 
								architettonico. Sorgono nuovi e splendidi 
								Alberghi per le diverse Lingue, palazzi e chiese 
								e, tra queste, la cattedrale di San Giovanni. 
								Malta cambia volto: non é piú soltanto la 
								roccaforte dei Cavalieri, ma uno splendido 
								monumento di arte e di fede. L'appassionata cura 
								dei Giovanniti trasformerá un'isola arida e 
								inospitale in un vero e proprio gioiello che 
								ancora oggi suscita ammirazione. Alla 
								costruzione de La Valletta seguiranno quella di 
								un nuovo Borgo, la sistemazione del porto, la 
								creazione di giardini, di altre, potenti ed 
								eleganti fortificazioni. Un'opera di 
								abbellimento che sará condotta nell'arco di due 
								secoli e che testimonia la continuitá di ideali 
								e di intenti tra i diversi capi dell'Ordine che 
								via via si succedono. Tra il 1657 e il 1660 il 
								Gran Maestro Fra' Martin de Redin rafforza le 
								difese con 14 torri e negli anni che vanno dal 
								1660 al 1680, i Gran Maestri Raffaele e Nicolò 
								Cotoner fanno erigere un formidabile complesso 
								fortificato che sará chiamato la «Cotonera». Il 
								grande Arsenale d'ltalia sará voluto 
								dall'ammiraglio Girolamo Salvago e ogni Lingua 
								contribuirá a ornare e abbellire il proprio 
								Albergo e a rendere piú sontuosa la propria 
								cappella nella cattedrale di San Giovanni, il 
								cui pavimento, avello della nobiltá europea, 
								costituisce un'opera di grande valore artistico. 
								 
								Tornando alla cronaca, Jean de La Vallette, 
								l'eroico vincitore di Solimano, muore il 21 
								agosto del 1568. In segno di lutto i cantieri 
								restano fermi per due giorni: giusto il tempo 
								per eleggere il nuovo Gran Maestro. É Fra' 
								Pietro Del Monte, Piliere della Lingua d'ltalia, 
								il quale ordina che la costruzione della cittá 
								sia ripresa immediatamente e con rinnovata lena. 
								 
								E mentre a Malta fervono i lavori, sul mare si 
								continua a combattere. I turchi ritrovano ben 
								presto la loro baldanza: occupano Cipro e da 
								quell'isola possono minacciare piú facilmente 
								tutti gli stati rivieraschi. Una nuova insidia, 
								che offre l'estro a Pio V per convincere il re 
								di Spagna che é ormai giunta l'ora di affrontare 
								con determinazione l'impero ottomano. E nasce 
								una lega della quale, oltre alla Spagna, fanno 
								parte, Venezia, la Santa Sede, il Duca di 
								Savoia, il Granduca di Toscana, Genova, il Regno 
								di Sicilia e l'Ordine di San Giovanni. 
								 
								La battaglia avviene nelle acque di Lepanto il 
								17 ottobre del 1571. Guidati dal Priore di 
								Messina, Fra' Pietro Giustiniani, i 
								Gerosolimitani sono presenti con tre galere ma 
								numerosi Cavalieri combattono sulle navi 
								spagnole, pontificie, siciliane e toscane. 
								Comanda l'armata don Giovanni d'Austria, 
								fratello dell'imperatore spagnolo. Le navi del 
								papa sono agli ordini di Marcantonio Colonna, 
								quelle della Serenissima di Sebastiano Veniero e 
								di Agostino Barbarigo, mentre sull'ammiraglia 
								dei legni genovesi c'é Gianandrea Doria. A 
								queste forze si va ad aggiungere la "Squadra dei 
								Venturieri", una flotta di navi armate a proprie 
								spese da alcuni gentiluomini desiderosi di 
								partecipare all'impresa. Il comando di questa 
								squadra don Giovanni d'Austria l'affida al conte 
								Don Vincenzo Marullo, un patrizio messinese noto 
								per il suo valore e per le sue capacità 
								marinare, il quale era proprietario di una delle 
								galere meglio armate. 
								 
								Lo scontro é durissimo. Il fronte cristiano 
								conta su 243 navi mentre quello turco ne schiera 
								280. Le comandano l'ammiraglio Alì e il vicere 
								di Algeri, Uluch Alí. 
								 
								Sorpreso il nemico all'alba, la flotta cristiana 
								avanza nel tradizionale ordine di battaglia: una 
								lunga linea il cui centro é comandato da don 
								Giovanni d'Austria, l'ala sinistra da Sebastiano 
								Veniero e dal Barbarigo, la destra dal Doria. Al 
								centro, di riserva, procede una squadra agli 
								ordini del marchese di Santa Cruz. Davanti a 
								tutti, otto galeazze hanno il compito di 
								sostenere il primo assalto. La flotta turca 
								muove, invece, su una sola linea, senza riserva 
								né avanguardie. 
								 
								Le prime fasi del combattimento risultano 
								favorevoli alle armi cristiane, ma un errore del 
								Doria rischia di compromettere l'esito finale 
								dello scontro. Temendo di venir accerchiato 
								dalle galere di Uluch Alì, il genovese si spinge 
								in mare aperto lasciando completamente scoperto 
								il fianco sinistro e creando un varco nel quale 
								l'ammiraglio turco si insinua con tutte le sue 
								navi, investendo il centro cristiano ancora 
								duramente impegnato. 
								 
								Ma a sbarragli la strada trova, in quel tratto 
								di mare, le galere della Religione che a costo 
								di gravi perdite e rischiando di essere 
								catturate o affondate, riescono a bloccarlo fino 
								all'arrivo della riserva guidata dal marchese di 
								Santa Cruz. 
								 
								Impressionanti le cifre della sconfitta 
								musulmana: 100 navi catturate, 130 bruciate o 
								affondate, venticinquemila uomini uccisi e 
								ottomila prigionieri. Diecimila schiavi 
								cristiani vengono liberati. Ferito da cinque 
								frecce, con le sue navi ancora segnate dalla 
								durezza della battaglia, Fra' Pietro 
								Giustiniani, Priore di Messina, fa ritorno a 
								Malta il 3 novembre. Quale bottino di guerra 
								porta con sé due navi e la gioia di aver 
								contribuito, per conto dell'Ordine di San 
								Giovanni di Gerusalemme, a un'altra vittoriosa 
								giornata delle armi cristiane. 
								 
								L'Europa esulta, ma a causa di banali gelosie, 
								la Lega non riesce a sfruttare il successo e si 
								scioglierá poco dopo. Cipro rimane nelle mani 
								dei turchi: un errore che Venezia e i Cavalieri 
								pagheranno piú tardi a caro prezzo.  
  
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